Sono giorni che penso a un post divertente da scrivere sull’inizio della scuola.
Sapete quelle cose tipo:
hanno smembrato le nostre classi: di due ne hanno fatte tre. Meglio di un’offerta speciale al supermercato. Le hanno fatte sorteggiando, e mai che mi peschino il biglietto della lotteria di capodanno no, qui al massimo vinci l’aula con la Lim, dato che non ce n’è abbastanza per tutti AH AH.
Oppure:
L’ingresso sarà scaglionato: le classi 4 alle 8 in punto dall’ingresso inferiore, la classi 3 alle 8.02 da quello superiore e chi ha figli in entrambe le classi sarà dotato di una comoda catapulta.
E infine:
Figo i banchi con le rotelle, così a ricreazione facciamo le gare nei corridoi, dato che non potremo nemmeno alzarci e faremo la fine degli obesi protagonisti di Wall-e.
No niente, è che non mi riesce.
E l’amaro in bocca è ancora troppo.
Perché ancora un volta tutto è demandato alla buona volontà di meravigliosi insegnanti, dirigenti in gamba e famiglie che dovranno fare sacrifici e salti mortali, con il rischio troppo concreto di perdere il lavoro, senza poter contare sull’aiuto di nessuno.
Magari dei nonni, sì, proprio quella fascia fragilissima che invece dovremmo proteggere.
E io penso a quanti sacrifici abbiamo chiesto ai nostri figli, i veri dimenticati di questa emergenza, a cui è stato chiesto di rinunciare a tutto da un giorno all’altro.
Alla vita di comunità, agli abbracci, alle risate, alla complicità, alla solidarietà, al conforto umano di una maestra o di un maestro, alla libertà di scorrazzare in giardino, e alla leggerezza dei loro 8, 9, 10 anni.
E a quanti ancora gliene stiamo imponendo.
Davide non vedeva una mia carissima amica da oltre tre mesi, mi chiedeva spessa di lei, e quando l’altra sera l’ho invitata a casa non l’ha nemmeno abbracciata, ligio alle regole.
E a me si è stretto il cuore.
Come sarà tornare in una classe dove a malapena conosci tre o quattro compagni, quando invece smaniavi per riabbracciare i TUOI compagni?
Come sarà non poter prestare una gomma o una matita? Fare un disegno senza mescolare tutti i pennarelli che noi madri ci danniamo ad etichettare uno per uno perché non vadano (inevitabilmente) persi?
Come sarà non poter avvicinarsi ad un compagno e aiutarlo nello svolgere un compito?
Come sarà fare ricreazione ognuno nel proprio banco, senza scambiarsi la merenda, oppure offrirla?
Come sarà non potersi abbracciare? Non poter correre? Intuire un sorriso complice sotto la mascherina anziché a viso aperto?
Come sarà non poter chiedere un abbraccio alla maestra in un momento di sconforto?
Come sarà non potersi passare bigliettini stupidi? Scambiarsi giochini e figurine?
Come sarà non poter suggerire ad un compagno alla lavagna?
Come sarà fare lezione senza cattedra? Senza Lim? E perché in questa lotteria alcuni vincono e altri no? È la scuola cazzo, non l’estrazione del lotto.
Come sarà sentire la febbre arrivare e avere paura di dirlo alla maestra per non essere isolato, mettendo in difficoltà un’intera classe se non un’intera scuola?
Come sarà rimanere indietro, perché gli insegnanti di sostegno sono sempre gli ultimi ad essere nominati?
Come sarà non poter uscire da scuola tutti insieme, e fermarsi al parco a giocare?
Come sarà questa scuola così spaventata dal covid e sempre più lontana dalle esigenze – pratiche, umane, relazionali, didattiche – dei suoi utenti?
Riuscirà a non perdere pezzi? A sostenere chi ne ha più bisogno? A non disperdere gli elementi più fragili?
Sono preoccupata, come tutti, e sconfortata.
Sono delusa dallo scoprire negazionisti in ogni classe, che pensano che la mascherina sia il male, ma non vogliono ammalarsi per non perdere il lavoro.
Sono schifata da come la distruzione dell’istituzione pubblica per eccellenza, LA SCUOLA, oggi mostri i suoi risultati in tutte le sue debolezze, le mancanze di anni, le incapacità di decenni di governance sbagliate e l’indifferenza da tempo immemore di chi la scuola la vive, la fa, la dovrebbe sentire propria, con il solo obiettivo di costruire una società migliore.
E invece questo modello va piano piano sfaldandosi sempre di più.
Perché per ogni genitore di buona volontà che è andato a spostare banchi e armadi, e che misurerà la febbre con coscienza ogni mattina ai suoi figli, ce ne sono altrettanti che invece continueranno ad infilare una supposta di tachipirina, e a non seguire le basilari norme di sicurezza al grido di NONCENECOVIDDI!
Vanificando gli sforzi di un’intera collettività, che è così ingenua e disincantata da credere di poter proteggere anche loro.
Io mi sento solo di augurare tanta fortuna a tutti noi, a partire da domani.
Perché ci aspetta un anno scolastico duro, diverso, che richiederà tutta la nostra capacità di adattamento.
E forse ci vedrà scontrare con qualcosa che non avevamo mai considerato davvero: l’egoismo e l’individualismo che sono tutto l’opposto del senso di comunità che dovrebbe trasmettere la scuola.
Buon lavoro e buon inizio, gente, al grido di “andrà tutto come se fosse Antani!”